mercoledì 24 ottobre 2007

CSKA Mosca-Inter 1-2



L’Inter ora è squadra vera anche in Europa. Questa la certezza scaturita dal match contro un CSKA Mosca sempre più deludente.
Il CSKA, che ha ormai detto addio alle residue speranze di vincere il campionato russo (dove a 3 giornate dal termine è a -12 dalla coppia di testa formata da Spartak e Zenit) è obbligato a concentrarsi sull’Europa, dove ha già dimostrato di essere in grado di farsi valere, come dimostra la Coppa Uefa 2005. Gli uomini di Gazzaev si trovano però di fronte un’Inter che è ormai squadra vera, come dimostra il successo ottenuto a Reggio. Ai nerazzurri non la si fa più e, anche quando giocano male, riescono ad avere la meglio, grazie ad un pantano utilizzato come campo o ad un portiere “bidone” - espressione che cerco di non usare mai nei confronti dei professionisti, ma Mandrykin, specialmente dopo le due papere europee, se la merita tutta – poco importa.
Il CSKA parte forte, e un’Inter che perde per l’ennesima volta Vieira dopo appena un quarto d’ora è costretta a stare a guardare. I nerazzurri provano a reagire, però il CSKA è sempre in agguato grazie ad un attacco temibile anche senza Vagner Love, in cui Jô parte largo per poi accentrarsi e Daniel Carvalho, al rientro dopo un lungo infortunio, spazia sul fronte offensivo sempre pronto a piazzare la giocata vincente, ieri però mai arrivata. A far paura a Julio Cesar ci pensa anche un ottimo Krasic, che parte dalla fascia e si accentra, rendendosi pericoloso in più di un’occasione. Nell’Inter, senza mezza squadra a causa delle squalifiche, torna Cordoba, che pare in ripresa dopo alcune prove che definire deludenti è un eufemismo, e si vede quando Jô riceve palla al limite dell’area e, dopo aver vinto due rimpalli con “Café Colombia” fa partire un pallonetto che batte Julio Cesar, apparso fuori posizione. L’Inter prova a reagire, ma le uniche cose da annotare sul taccuino sono gli errori degli avanti del CSKA e gli infortuni dei moscoviti Dudu, sostituito da Eduardo, e Aleksei Berezutskiy, “azzoppato” da Figo, che macchia così il suo centesimo gettone in Champions League.
Nella ripresa l’Inter capisce che un’altra sconfitta in Europa è inaccettabile, e parte forte. I nerazzurri vengono premiati al 52’, quando Crespo riceve palla dal biondo Krasić in un’azione simile a quella che ha generato il gol di Trezeguet nel derby, e insacca. 1-1 e palla al centro, per pochi secondi, però, perché l’Inter si tuffa nuovamente in avanti senza però trovare la rete per via degli errori di uno Stankovic, giustificato perché non al meglio, e di un Ibra tornato quello pre-PSV. A risolvere la contesa ci pensa Samuel, con il quale presumibilmente farà coppia Materazzi al rientro, perché metterlo in panca, ora come ora, è impossibile. The Wall segna il 2-1 all’80’, ma il merito (o la colpa, se non siete nerazzurri) è soprattutto del sostituto di Akinfeev, Mandrykin, che dopo la schifezza (per dirla alla Caressa) combinata contro il Fenerbahçe toglie altri punti ai suoi con la complicità di una zolla probabilmente simpatizzante della Lokomotiv.
L’Inter torna a Milano (anche se a breve volerà a Palermo) con i 3 punti e la certezza di non essere più pazza, il CSKA resta a Mosca a sperare di centrare almeno la qualificazione in Uefa per sperare di ripetere l’impresa del 2005.

TABELLINO
CSKA Mosca (3-4-1-2): Mandrykin 4; V. Berezutskiy 6, Ignashevich 6, A. Berezutskiy 6,5 (dal 45' A. Grigorjev 6); Krasic 7, Aldonin 6, Rahimic 5,5, Zhirkov 6; Dudu Cearense 5,5 (dal 42' Eduardo Ratinho 5) (dal 76' Janczyk s.v.); D. Carvalho 5,5, Jô 6,5. All.: Gazzaev.
Inter (4-3-1-2): Julio Cesar 6; J. Zanetti 6, Cordoba 5,5, Samuel 7, Maxwell 6,5; Vieira s.v. (dal 17' Stankovic 5,5), Dacourt 6,5 (dal 77' Solari s.v.), Cambiasso 6,5; Figo 6,5; Ibrahimovic 5, Crespo 6,5 (dal 62' Cruz 6). All.: Mancini.

Reti: 32' Jo (CSKA), 52' Crespo (Int), 80' Samuel (Int).
Arbitro: M. Riley

lunedì 22 ottobre 2007

È tornato l'Imperatore?

Il colpo di testa vincente di Adriano. Inter.it

«Grazie a Dio ho messo la testa a posto: devo lavorare bene come sto facendo e dimostrare sul campo di essere cambiato», queste le parole di Adriano ai microfoni di Sky al termine del match vinto con la Reggina grazie ad un suo gol, il primo da 188 giorni a questa parte. La rete, arrivata di testa, è soprattutto merito di Figo - autore di una magnifica punizione sulla quale all’Imperatore si è avventato sfiorando la palla quel tanto che è bastato per metterla alle spalle di Campagnolo -, ma sul tabellino figura il nome di Adriano, nuovamente felice, davvero, dopo tanto, troppo tempo.

In estate si erano visti i primi segnali di rinascita, quando, accompagnato dal solo professor Gaudino, era tornato in Brasile per allenarsi da solo e recuperare lo smalto perduto. In Brasile, sua terrà natia, dove aveva iniziato a tirare i primi calci al pallone, in un campetto spelacchiato a pochi metri dalla sua casa, sul cui tetto-terrazzo si divertiva a giocare con l’aquilone, di Vila Cruzeiro. In quel campetto, che ora si chiama “cantino do Adriano” il piccolo “Pop corn”, come era stato soprannominato dagli amici per la sua passione per i chicchi di mais riscaldati, giocava combattutissime partite e donava i primi baci. Non alle maglie, però: un pomeriggio Pop corn e i suoi amici erano in strada a giocare a “Dire, fare baciare, lettera, testamento”, gioco nel quale ognuno, ad occhi chiusi, deve scegliere una della cinque cose da fare; il piccolo Adriano si mise d’accordo con i suoi amici in modo da scegliere “bacio” quando era il turno di Aline. Il piano riuscì alla perfezione, e Adriano, anzi, Pop corn, baciò la sua Aline. La principale occupazione di Adriano, però, era il futebol. La sua classe lo porta dritto nelle giovanili del Flamengo, dove la sua stazza fisica fa storcere il naso a più di un addetto ai lavori. Lui continua a lavorare sodo nonostante le critiche, e si vede ricompensato dalla vittoria del mondiale under 19 del 1999. In quello stesso anno viene promosso in prima squadra nel Mengão, dove esordisce nel 2000 e termina la stagione con ben 10 reti in 32 partite, numeri che fanno venir l’acquolina in bocca alle big europee. Il tempo di esordire con la Seleçao, il 15 novembre 2000 con la Colombia, e se lo aggiudica l’Inter, con cui debutta il 14 agosto 2001 al Bernabéu di Madrid. Entra all’88’, pochi minuti dopo esulta: la sua punizione al fulmicotone ha appena fatto vibrare la rete delle Merengues. Indubbia la riconferma, anche se con l’Inter le cose non vanno benissimo: Pop corn è la sesta punta, e in cinque mesi va in rete una sola volta in 8 partite, contro il Venezia. A gennaio viene mandato in prestito a Firenze, dove, pur non riuscendo a salvare la Viola, si mette in mostra segnando 6 reti. A Milano, però, per lui non c’è spazio, e viene mandato a maturare ulteriormente a Parma. In due anni in Emilia, l’Imperatore zittisce tutti i suoi detrattori. Nella prima stagione fa faville in coppia con Mutu, chiudendo a quota 18 reti. Non bastano ancora per l’Inter, che lo lascia ai gialloblù. Nel 2003/04 parte ancora più forte, e i suoi 9 gol in 11 partite (sarebbero stati anche di più senza un fastidioso infortunio che lo tenne lontano dai campi per oltre un mese) e questo, oltre allo scarso rendimento dell’Inter, convince Moratti a sborsare 15 milioni di euro per riportarlo in nerazzurro. Con 9 reti e un rendimento stratosferico Adriano porta l’Inter ai preliminari di Champions League, dove elimina ancora una volta praticamente da solo il Basilea. In mezzo, una Coppa America vinta anch’essa praticamente da solo. Nel 2004/05, dopo i preliminari di Champions, Adriano continua a mantenere un folle rendimento. A fine stagione i gol saranno 28: 16 in campionato, 10, compresi i preliminari, in Champions e 2 in Coppa Italia, entrambi nella finale d’andata, visto che salterà quella di ritorno perché in ritiro con la nazionale brasiliana in vista della Confederations Cup, vinta anche quella, che si sarebbe disputata in Germania. L’Imperatore parte ancora più forte nel 2005/06, quando inizia la stagione con una tripletta al Treviso. Inizia però il suo declino, e, dopo una doppietta al Milan nel 3-2 dell’11 dicembre, segna solo una rete nel 2006, alla Sampdoria. Durante l’estate gioca comunque i Mondiali con il Brasile, con cui segna 2 gol. A settembre la situazione, ormai critica, convince Moratti a mandarlo in Brasile per provare a recuperare una voglia di gol perduta. Con mamma Rosilda (papà Almir è scomparso pochi giorni prima del preliminare di Champions vinto con il Basilea) Adriano continua a fare di testa sua, facendosi pizzicare dai paparazzi in scooter senza casco e con una cassetta di lattine di birra in mano. Torna a giocare il 26 novembre, contro il Palermo. Fa due assist e torna nell’ombra. Si guadagna la rincoferma sul filo di lana: il 23 dicembre 2006 segna all’Atalanta, si ripete poi contro il Bahrain in amichevole, l’Empoli in Coppa Italia e Torino e Chievo in campionato. Dopo il gol ai clivensi resta all’asciutto fino al 15 aprile, ossia fino al gol al Palermo. Una settimana dopo diventerà anche campione d’Italia, ma non da protagonista. E siamo a questa stagione, partita con i migliori auspici per il brasiliano, che si diceva ritrovato dopo al preparazione carioca. Sogna anche un posto da titolare al fianco di Ibra, ma un precampionato deludente lo fa scivolare in fondo alla personale classifica degli attaccanti di Mancini, che lo esclude dalla lista Champions. Lui la prende male, ma non lo dà a vedere, impegnandosi come e più degli altri per ottenere un posto da titolare. Mancini lo accontenta contro il Catania, dove dimostra di essere tornato un calciatore. Ancora titolare a Livorno, dove solo i legni gli negano la gioia del gol. Contro la Reggina, però, riesce per la prima volta quest’anno ad inserire il proprio nome nel gabellino alla voce “Marcatori”. Forse è l’ennesimo tentativo di rinascita che poi si rivelerà solo l’ennesima presa in giro dell’Imperatore, o forse è la volta buona. La domanda, però, è sempre quella di un mio post estivo: tornerà Imperatore?
Antonio Giusto


Fonte: SportBeat

lunedì 15 ottobre 2007

Butzema


Due giocate da bomber vero, quelle contro le modeste Fær Øer, per Karim Benzema, da me storpiato in “Butzema” perché oltralpe “but” significa “gol”, ed è troppo difficile resistere alla tentazione di modificare il cognome di questo ragazzo da molti affiancato a Trezeguet, detto “Trezegol”.

Dopo questa (forse per alcuni) fastidiosa parentesi sul soprannome che ho appena afibbiato all’attaccante franco-algerino in forza al Lione, passiamo ai fatti: sabato 13 ottobre, nel match di qualificazione agli Europei 2008 della Francia, Benzema confeziona gli ennesimi regali per gli occhi dei tifosi transalpini. Prima un colpo di testa, poi un sinistro di rapina per battere lo sfortunato Jakup Mikkelsen, 37enne portiere del B36 Tórshavn che sabato difendeva per la cinquantunesima volta in carriera la porta delle Fær Øer. Due gol, come dicevo, da bomber vero, che avvalorano il pragone con Trezeguet, con cui condivide un buon fisico, delle grandi doti aeree ma, soprattutto, un’implacabilità sotto rete comune a pochi giocatori.

Karima Benzema, figlio di due emigranti algerini provenienti da Tighzert à Beni Djellil, nel nord dell’Algeria.
A Lione Benzema nasce, il 19 dicembre 1987, e cresce, anche e soprattutto sul piano calcistico, visto che, ad appena 9 anni, dopo una parentesi di un anno nel Bron Terraillon, entra nelle giovanili del Lione. Oltre a far faville con le rappresentative giovanili dell’OL, Benzema raccoglie grandi successi anche con le rappresentative under dei Bleus, dove, con l’under 17, conquista nel 2004 il titolo europeo di categoria. L’anno successivo vince un altro alloro di categoria, stavolta con la divisa del Lione: con 12 gol in 14 partite contribuisce alla vittoria del Lione nell’equivalente del nostro campionato primavera.
Questi numeri lo fanno notare agli allenatori della prima squadra, primo fra tutti Paul Le Guen, che gli regala l’esordio in campionato, il 15 gennaio 2005, contro il Metz, una buona prova per lui, ondita da un assist per Bergougnoux, ex attaccante del Lione ora al Tolosa. Per Karim, però, le sorprese non sono finite, infatti il suo primo gol stagionale arriva all’esordio in Champions League, contro il Rosenborg.
Nel 2006/07 Benzema parte titolare nel Lione, con Houllier in panchina che crede in lui. Benzema, ovviamente, ripaga la fiducia partendo a razzo in campionato: un gol al Nantes nella prima giornata, due al Nizza nella quarta, un altro al Marsiglia nella decima. Queste prestazioni gli fruttano anche la chiamata di Domenech, che approfitta del volere del ragazzo, che in passato aveva rifiutato la chiamata della nazionale algerina. Il debutto in bleu viene però rinviato, visto che Karim si infortuna a poche ore dal match. Debutto solo rinviato, però, visto che il 28 marzo 2007 Benzema indossa per la prima volta il bleu della nazionale francese, festeggiando con un gol.
La stagione 2006/07 si conclude con un bottino totale di 8 reti, ma l’esplosione arriva subito dopo, quando Alain Perrin prende posto sulla panchina degli esacampioni di Francia, promuovendo Benzema titolare. Lui, tanto per cambiare, si fa trovare pronto, anzi, prontissimo: 10 gol nelle prime 10 partite di campionato, tra cui spicca una tripletta al Metz, proprio la squadra contro cui aveva esordito.
E siamo ai gol alle Fær Øer, e ad un’esplosione ormai certificata. Benzema, per continuare a migliorare, però, dovrà lasciare la città in cui nato e cresciuto. Per il futuro si vocifera di Fiorentina, Milan e Juve, oppure chissà, Benzema potrebbe trovarsi ad indossare un altro blu, scritto “blue”, in questo caso, il “blue” del Chelsea di Roma Abramovich.
Antonio Giusto


Fonte: SportBeat

sabato 13 ottobre 2007

Scozia-Ucraina 3-1


Kenny Miller esulta dopo il gol dell'1-0. PA

Ad Hampden Park, casa a 5 stelle UEFA della nazionale scozzese, partono gli inni. Tempo pochi minuti e le squadre sono in campo.
L’Ucraina schiera un 4-2-4, con un solo incontrista puro, Tymoschuk, a guardia della difesa. Ai suoi lati Gusev, a destra, Vorobei, 85 gol nella Vischi Liha, il campionato di calcio ucraino, alla sua sinistra. In avanti, oltre a Sheva e Voronin, Oleksandr Hladky, «il miglior attaccante ucraino della nuova generazione» secondo Cristiano Lucarelli, suo compagno di squadra allo Shakhtar Donetsk.
La Scozia si dispone in campo con un più disciplinato 4-4-2, con McFadden e Miller in avanti.

La prima occasione del match è di Shevchenko, che dopo un minuto e mezzo calcia alto sulla porta del “black cat” Craig Gordon dopo aver recuperato il pallone sulla trequarti.
La rete della Scozia arriva sugli sviluppi di un calcio di punizione per fallo di Nesmachniy, poi ammonito: McFadden calcia e Miller, al rientro in nazionale dopo aver saltato due partite, anticipa Shovkovskiy e mette in porta la palla dell’1-0.
L’Ucraina prova a riaddrizzare le sorti del match gettandosi in avanti con il proprio arsenale offensivo, ma l’unica occasione rilevante prima del 2-0 della Scozia arriva in contropiede con Gusev, che calcia alto dopo aver saltato due scozzesi al limite dell’area.
Dicevamo del 2-0: ancora un calcio di punizione, ancora un gol. Stavolta la rete è di Lee McCulloch, che controlla il pallone e batte Shovkovskiy con un preciso destro dopo essere stato trovato libero in area da un calcio di punizione di Barry Ferguson. Per il 29enne centrocampista dei Rangers è la prima rete in nazionale; per la Scozia è un 2-0 che avvicina sempre più gli “highlander” ad un sogno chiamato europeo; per Oleg Blokhin, praticamente, la fine dell’incarico da c.t. dei gialloblù.
Sheva, da buon capitano, prova a crederci, anche se l’unico aggettivo per ciò che combina il pallone d’oro 2004 nei 5 minuti successivi al gol di McCulloch è “disastroso”. E’ sempre Sheva, dopo 10 minuti di “combattimento” a metà campo, a riaprire il match con un destro di rapina su errore di McManus, facendo ricredere i suoi detrattori.
L’Ucraina, priva di centrocampisti in grado d’impostare l’azione, continua ad affidarsi ai lanci lunghi, che al 30’ si rivelano utili quando liberano Yezerskiy davanti a Gordon. Il difensore dello Shakhtar, però, va con il piede molle sul pallone e lo mette clamorosamente fuori.va al riposo dopo 3 dubbi rigori, tutti non concessi dall’arbitro Fink. La ripresa inizia con un cambio: fuori Gusev e dentro Rotan. Questa sostituzione fa sì che lo schieramento ucraino vari: si passa dal 4-3-3 del primo tempo ad un assai improbabile 4-2-4 con un ancor più improbabile attacco disposto a rombo, inizialmente con Rotan a sinistra, Vorobei a destra e Voronin alle spalle di Sheva.
La prima occasione della ripresa arriva al 50’, quando Voronin calcia fuori su invito del neoentrato Gusev.
Le posizioni dell’inedito rombo offensivo dell’Ucraina cambiano, e al 55’ Sheva, in versione ala destra, serve Hladky a centro area. L’attaccante dello Shakhtar va a terra, ma per Fink non è rigore.
Al 60’ inizia la consueta girandola dei cambi: fuori McCulloch e dentro Dailly per la Scozia, fuori Vorobei e dentro Nazarenko per l’Ucraina due minuti dopo.
Al 68’ McFadden chiude a chiave il match battendo Shovkovskiy e portando i suoi sul 3-1, sempre più vicini al sogno chiamato Euro2008.
L’Ucraina, incurante della disastrosità della propria difesa, si getta in avanti alla ricerca di una chiva in grado di riaprire la partita, lasciando però ampi spazi al contropiede della Scozia.
Altri cambi: fuori Tymoschuk e dentro Shelayev; fuori Brown e dentro Maloney; fuori il man of the match McFadden e dentro O’Connor.
Seguono 10 minuti di velleitarie iniziative degli ex sovietici, poi, dopo 3 minuti di recupero, Fink fischia la fine. La Scozia è ad un passo da Euro2008, l’Ucraina è fuori dai giochi.
Antonio Giusto



Fonte: SportBeat

martedì 9 ottobre 2007

La prima doppelpack di Toni



E finalmente è arrivata! Di cosa sto parlando? Della prima doppietta di Luca Toni - per i bavaresi, ormai, Tori, sfruttando un gioco di parole con la parola “tor”, che significa “gol”, e il nome dell’attaccante di Pavullo -, ovvio. Per il fidanzato della splendida Marta Cecchetto, questi sono i primi 2 gol in una stessa partita, visto che i precedenti 6 erano arrivati senza accompagnatori, come invece avvenuto contro il Norimberga, quando Toni è stato bravo prima a sfruttare una disattenzione di Blazek su una punizione di Hamit Altintop, poi a insaccare in rete un corner di Zé Roberto, sbucando all’improvviso – “come un fantasma”, direbbe Gerd Müller, che ha paragonato Toni al sé stesso dei tempi d’oro - nell’area del Club, come viene soprannominato il Norimberga in Germania.

Luca Toni, emiliano di Pavullo del Frignano, in provincia di Modena, nasce il 26 maggio 1977. Mamma Valeria fa la bidella, papà Gianfranco l’imbianchino.
Il piccolo Luca inizia nel Serramazzoni, la squadra della sua città, ma si trasferisce poi al Modena, dove l’ex juventino Celsinho ha un’intuizione che farà la fortuna dello Sportivo dell’Anno 2006: Toni diventa attaccante, abbandonando il vecchio ruolo di centrocampista. Da attaccante compie la trafile delle giovanili dei canarini, con cui esordisce in C1 nel 94/95. Resta a Modena anche nella stagione successiva, segnando 5 gol e facendosi notare dall’Empoli, che lo acquista, salvo poi fargli giocare appena tre partite (condite comunque da un gol).
Toni torna quindi in C1, per rilanciarsi dopo la negativa esperienza in B. Con la Fiorenzuola, però, un’altra stagione negativa, chiusa con appena 2 reti all’attivo.
Si trasferisce allora alla Lodigiani, terza squadra di Roma. Con Guido Attardi (defunto il 5 settembre 2002), da lui stesso definito «il primo a credere realmente nelle mie qualità». Sotto la guida del tecnico aquilano Toni segna 15 gol, che gli valgono la chiama del Treviso, dove cambia la serie, ma non il risultato: il suo bottino a fine stagione parla di 15 gol, che gli fruttano la chiamata del Vicenza di Guidolin (con cui non avrà un rapporto felice), in serie A.
Il sogno di Luca si avvera il primo ottobre 2000: Milan – Vicenza 2-0. Quell’anno Toni segnerà 9 gol, inutili, però, per salvare il Vicenza, che retrocede.
Stagione 2001/02, settima squadra in sette anni per Toni: il Brescia. Con le rondinelle arrivano 13 reti al primo anno, tante per merito del Divin Codino. Toni si ferma a Brescia un’altra stagione, ma questo non gli porta bene: un grave infortunio al ginocchio ne ritarda l’esplosione, che avviene a Palermo, in B, nella stagione successiva.
Con i rosanero segna 30 gol in 43 partite, contribuendo alla promozione e stabilendo un record, il primo di una lunga serie. Nella stagione successiva si ferma a Palermo, con esiti contrari a quelli di Brescia: 20 gol, grande campionato preannunciato, in un certo senso, da Lippi, che lo chiama per Islanda – Italia e ne fa una delle pietre miliari della squadra che, nel luglio di due anni dopo, vincerà il mondiale.
A Palermo però Toni ha delle incomprensioni con il vulcanico Zamparini, che non si fa problemi a mandarlo via, in cambio di 10 milioni di euro, però.
La nuova destinazione di Toni e Furmini, come verrà soprannominato dai tifosi della Viola è, per l'appunto, Firenze. In viola Luca tocca picchi altissimi in classifica marcatori, arrivando a 31 gol, -2 dal record assoluto di Angelillo, evincendo la Scarpa d’Oro. Non è però questo il premio più importante vinto da Luca in quella stagione: a luglio arriverà anche la coppa del mondo, a cui lui contribuira in maniera decisiva, segnando anche 2 gol all’Ucraina nei quarti di finale.
A settembre, però, è tempo di rivestirsi di viola, che però porta sfortuna: qualche infortunio e “appena” (per lui) 16 reti. Al termine della stagione è tempo di lasciare Firenze, per onorare la tradizione che non lo vuole mai in una stessa squadra per più di due anni.
Ad accaparrarselo è il Bayern, che offre 11 milioni alla Fiorentina e un contratto principesco a lui, che accetta immediatamente. In Baviera, dove è orma diventato Luca Tori (della spiegazione leggete sopra), il centravanti di Pavullo del Frignano è a 8 reti in 8 partite, e assieme al trio dei sogni composto da Ribéry e Klose sta guidando il Bayern verso uno Schale, che sarebbe il primo per Luca Toni, che pare già sicuro.
Antonio Giusto



Fonte: SportBeat

giovedì 4 ottobre 2007

Il crollo di Dida. E del Milan.

Novantunesimo minuto di Celtic – Milan. I campioni d’Europa hanno appena subito da McDonald (che di nome fa Scott, non Ronald) la rete del 2-1 che li condanna alla sconfitta. Un “imbecille”, come è stato definito dai media (che si pronuncia “media”, non “midia”, perché deriva dal latino) entra in campo e tira un buffetto a Dida. Il portiere brasiliano rincorre l’invasore per due metri, poi, d’improvviso, si accascia al suolo. Arrivano i soccorsi, e Dida esce dal campo il barella, salvo poi rientrare poco dopo in ottimo stato.
Ecco, il crollo di Dida è l’immagine del Milan attuale. Campione, anzi, Supercampione d’Europa, ma sconfitto da Palermo e Celtic, mica Real Madrid e Barcellona. Dal primo settembre, dopo le due vittorie in casa di un Genoa appena tornato in A dopo 12 anni (e proposto da Gasperini con una folle difesa a 3) e di un Siviglia che definire “scosso” per la morte di Puerta è poco, i rossoneri hanno vinto solo in un’occasione: contro il Benfica di un Rui Costa agli sgoccioli e di un Cardozo incapace di buttare il pallone in rete da mezzo metro. Vittoria giunta per mano di un Pirlo, in campo per caso dopo i fastidi accusati nei match di qualificazione agli europei contro Francia e Ucraina, autore di una magnifica punizione (Caressa la chiama “la maledetta”) e di un altrettanto magnifico assist per un Pippo Inzaghi pronto — in quell’occasione, non contro il Catania — ad insaccare il pallone in rete.
Da allora due pari, preceduti da altrettante “X” contro Fiorentina e Siena, e due sconfitte contro il Palermo e il Celtic.
L’araba fenice, tanto declamata da un Galliani (che si starà strappando i capelli che non ha, in questo momento) stenta a risorgere dalle proprie ceneri, e si rifugia in spiegazioni che sanno di scuese, come quella di Ancelotti - «Io preferisco ripartire dalla buona prova di Glasgow senza drammatizzare: le cose non possono che migliorare. La partita è stata molto combattuta, vissuta sul piano fisico e non su quello tecnico. Sono soddisfatto perché abbiamo concesso poco, in pratica solo su calcio d’angolo. Il Celtic in casa si trasforma, diventa molto pericoloso» le parole del tecnico emiliano – e sceneggiate, come quelle di Dida.
Dida che, dopo aver dimostrato un notevole regresso, sta ormai tornando ai livelli della notte del 19 settembre 2000. Non ricordate? Piccolo aiutino: Lee Bowyer. Ancora nulla? Leeds – Milan 1-0, rossoneri fuori dalla Coppa Uefa. Dopo quella terrificante papera per Dida l’unica soluzione fu espatriare, passando i due anni successivi al Corinthians, in Brasile. Chissà che non sia la soluzione buona anche per questa occasione.
Antonio Giusto



Fonte: SportBeat

martedì 2 ottobre 2007

BenTotòrnato!



Quando all’83° minuto di un Samp - Atalanta ormai già chiuso, Volpi ha messo un pallone morbido per Cassano, che ha controllato e battuto Coppola, il calcio italiano ha ritrovato uno dei suoi più grandi talenti: Antonio Cassano, il pibe di Bari Vecchia.
L’ultimo gol di Cassano in serie A risaliva all’11 dicembre 2005: Roma – Palermo 1-2. Pochi giorni dopo Cassano avrebbe iniziato il suo lungo calvario madrileno, agli ordini di López Caro prima e di Fabio Capello poi. Rapporto infelice con entrambi, e picco toccato nel dicembre del 2006: Fantantonio imita l’allenatore Goriziano davanti a Diarra, Cannavaro, Ronaldo e, per sua sfortuna, anche davanti alle telecamere. Ovviamente questa scenetta non fa piacere a Capello, che mette fuori rosa il barese. Per lui, quindi ennesima litigata con i suoi allenatori: cattivi rapporti con Capello, López Caro, ma anche Spalletti e tutti quelli che lo avevano avuto da quando Cassano lasciò Bari, dopo aver incantato il San Nicola per due stagioni.
Proprio a Bari, casa sua, dove era cresciuto sin da piccolo con la mamma, visto che del padre si erano presto perse le traccie, Totò aveva trovato l’ultimo allenatore in grado di capirlo prima di incontrare Mazzarri alla Samp: Eugenio Fascetti, il suo mentore, uno dei pochi che ha sempre creduto in lui.
Con Fascetti, che lo promuove in prima squadra ad appena 17 anni e lo butta nella mischia contro il Lecce, l’11 dicembre 1999 nella sconfitta per 1-0 rimediata dai galletti contro i salentini. Fascetti però crede in Cassano, e lo fa addirittura partire titolare contro l’Inter, la sua squadra del cuore, la settimana successiva. E’ la notte del 17 dicembre, e tutt’Italia scopre un grandissimo talento, Antonio Cassano: servito da Perrotta, il barese salta due avversari e batte Ferron, subentrato a Peruzzi, per il definitivo 2-1. Il suo gol fa il giro del mondo, e il suo nome fa il giro dei giornali. Tutte le prime pagine sono sue, e l’interesse delle big arriva presto. Dopo un’altra stagione Prima la Juve lo tenta, ma è Sensi ad avere la meglio: 60 milioni al Bari e Cassano alla Roma.
A Roma Cassano resta per 4 anni, vincendo la SuperCoppa Italiana 2001, segnando 38 gol e mandando a quel paese, come si sual dire, diversi allenatori e qualche arbitro – famoso il suo “cornuto!” rivolto a Rosetti nella finale di Coppa Italia 2003/04 dopo essere stato espulso. Durante la parentesi romanista Cassano trova però il modo di farsi cacciare, di fatto, dalla nazionale under 21 e di partecipare alla sfortunata spedizione portoghese degli Europei 2004, rivelandosi il miglior giocatore degli azzurri, eliminati però nella fase a gironi a causa del famoso 2-2 scandinavo. Famoso lo striscione “Non si leva a Cassano” comparso in un vicolo della città natia di Fantantonio dopo la sostituzione del suddetto nel match – pareggiato 1-1 - contro la Svezia di Ibrahimovic.
L’addio alla Roma avviene nel gennaio 2006, quando, dopo aver definitivamente rotto con Spalletti, Cassano firma con il Real Madrid. Purtroppo la pomposità della sua accoglienza nella capitale spagnola si rivela inversamente proporzionale alle sue prestazioni in campo: dopo il gol all’esordio contro il Betis, tanto lavoro a parte e tanta panchina. Pochi, invece, i gol, appena quattro nella sua avventura madrilena, che termina il 13 agosto 2007, quando dopo una lunga trattativa il ds sampdoriano Marotta porta nella città della Lanterna il pibe de Bari con un prestito con diritto di riscatto fissato a 5,5 milioni di euro.
Dopo essersi infortunato all’esordio in blucerchiato ed aver recuperato a tempo di record, Totò fa il suo esordio proprio nel derby con il Genoa, nel quale però non incide.
E siamo ai giorni nostri, al gol all’Atalanta e all’abbraccio con Mazzarri, l’unico che ancora credeva in lui. L’unico oltre a Eugenio Fascetti.
Antonio Giusto



Fonte: SportBeat