lunedì 3 dicembre 2007

Il Pastore d'oro

Essere scartati da una sponda calcistica di Milano e diventare campioni, bandiere, leggende, sull’altra. È una storia comune a molti: Facchetti, Bergomi e Mea zza, tanto per fare qualche nome, provarono con il Milan salvo poi diventare vere e proprie leggende nerazzurre. Lo stesso accadde a Rivera – primo pallone d’oro milanista – che, dopo essere stato opzionato dall’Inter in seguito ad una segnalazione di Benito Lorenzi, per breve tempo suo compagno di squadra all’Alessandria, fu poi dimenticato dai dirigenti nerazzurri e ad approfittarne furono i milanisti, che vestirono in fretta e furia il Golden Boy di rossonero. Di Rivera abbiamo detto che fu il primo pallone d’oro milanista, e il premio assegnato dalla rivista francese France Football è stato assegnato ad un milanista, che come lui fu “dimenticato” dall’Inter, proprio in settimana. Eh sì, perché Ricardo Izecson dos Santos Leite, per tutti (a partire dal suo fratellino Digão che da piccolo storpiava “Ricardo” in “Kaká”) Kaká, fu scartato dall’Inter prima di diventare il campione che ora conosciamo. Ai nerazzurri fu segnalato dal buon Carletto Mazzone, a cui era stata fatta visionare una cassetta con le giocate dell’allora talentino del San Paolo. «Troppo forte per noi», il giudizio dell’allenatore romano, che lo segnalò all’Inter. In quell’infausto periodo nella Milano nerazzurra era usuale prendere i brocchi e rifiutare i campioni, e così Kaká fu lasciato al San Paolo.
San Paolo, intesa come città, dov’era giunto dopo essere passato per Brasilia, città natia, e Cuiaba. Tutto questo fatto con l’appoggio dei genitori: mamma Simone, insegnante, e papà Bosco, ingegnere civile, che ammettono «Quando Kaká, all’età di 15 anni, ci ha detto di voler essere calciatore professionista lo abbiamo subito appoggiato. Oggi è quello che è, e ne siamo orgogliosi». E i genitori fanno bene ad esserne orgogliosi: oltre che un grandissimo campione, Ricky è un campionissimo anche nella vita. Il 30 novembre 2004 è diventato il più giovane ambasciatore contro la fame del PAM, il programma alimentare mondiale dell'ONU. Fame che da piccolo, però, non ha mai dovuto affrontare. Detto del lavoro dei genitori che gli consentiva di vivere nel Morumbi, quartiere residenziale di San Paolo, a differenza di molti suoi compagni di squadra che al termine delle partite del San Paolo andavano a festeggiare a casa sua con le ciambelle di mamma Simone prima di tornare nelle squallide favelas in cui abitavano. La non-provenienza dalla favelas è stata per Kaká un problema, almeno fino a qualche anno fa. La critica lo accusava di non avere la fame, la rabbia, la volontà di chi era cresciuto pregando che al ritorno a casa dal campetto ci fosse qualcosa in tavola, spesso usando come “arma” un episodio risalente al Brasileirão 2002: nei quarti contro l’Atletico Paranaense Kaká uscì in lacrime dopo 39 minuti a causa del rude trattamento riservatogli da Cocito, difensore del Furacão. Un anno prima però il marito di Caroline, sposata il 23 dicembre 2005 nella chiesa evangelica Renascer em Cristo dopo tre anni di fidanzamento e da poco in attesa dell’erede del pallone d’oro, aveva esordito con la maglia del San Paolo nella finale del torneo di Rio-San Paolo segnando 2 gol in 2 minuti e ammaliando la critica. Non si sbalordì affatto il tecnico Oswaldo che, dopo aver ribadito che Kaká poteva diventare un grandissimo calciatore, aveva ricordato a tutti che il nativo di Brasilia non era neppure al top: veniva infatti dal tuffo in piscina – vuota – che gli era costata la frattura della sesta vertebra. Il rischio della paralisi era stato però scongiurato, come lui assicura, da Dio, al quale è devotissimo. Sulla linguetta copri-lacci di suoi scarpini c’è scritto “Dio è fedele”, ed ha un braccialetto di metallo con la scritta “Jesus” e un nastrino di stoffa con le lettere “OQJF” (“O que Jesus faria?”, cioè “Cosa farebbe Gesù al mio posto?”). La sua segreteria telefonica dice “Sono Kaká. Al momento non posso rispondere. Grazie. Dio ti benedica. Ciao”. Proprio questa sua grande religiosità lo ha spinto a dichiarare «Voglio diventare un pastore evangelico per portare nel mondo la parola di Dio» ai microfoni dell’emittente brasiliana Globo TV. Se così dovesse essere, be’, buona fortuna al primo pastore evangelico con un pallone d’oro sul comodino, dove ha dichiarato che lo metterà.
Antonio Giusto


Fonte: SportBeat

2 commenti:

Acdgm ha detto...

Io invece vorrei informarvi riguardo ad un sito calcistico che ho trovato via internet e che puo' esservi utile. E' lo youtube del calcio si chiama KICKO (potete trovare le info su google) che grazie ai video e info postate dai giovani calciatori, possono essere notati dagli osservatori di molte squadre anche straniere!!.. Spero d'aver fatto cosa gradita! ^_^

scaricare video youtube ha detto...

grandissimo