Milan, i 60 milioni di Ronaldinho spendili per la difesa

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Conclusi i sorteggi degli ottavi di Champions League, e non si può certo dire che alle italiane sia andata bene. Il Milan, campione in carica, ha visto uscire dall’urna l’avversario più ostico che le potesse capitare: l’Arsenal dei giovani, secondo proprio perché nelle ultime due gare del girone ha mandato in campo ragazzi troppo giovani. L’Inter, che deve dimostrarsi carro armato anche fuori dai confini italici, si è ritrovato contro un Liverpool che può essere quello capace di perdere 2-1 ad Istanbul col Besiktas e 0-1 ad Anfield con il Marsiglia o la macchina da 16 gol nelle ultime tre, decisive, partite del girone. E, a giudicare da quanto fatto vedere negli ultimi anni, ovvero che il Liverpool è, assieme al Milan, la miglior squadra in europea sui 180 minuti, si tratterà della squadra cinica e concreta ammirata quando la posta in palio contava,. La Roma, certamente la più sfortunata, ha trovato un Real Madrid contro cui dovrà cercare di ripetere l’impresa della Virtus, squadra di basket capitolina vittoriosa ieri proprio contro i madrileni.
Analizziamo meglio gli incontri, però. Il Milan non ha bisogno di particolari dilungamenti sulle sue imprese nei match ad eliminazione diretta, basta aggiungere ai 18 trofei in bacheca che ne fanno la prima squadra al mondo il fatto che l’anno scorso furono proprio i rossoneri ad alzare la tanto ambita coppa con le orecchie, mimata proprio da Fabregas, avversario del Milan negli ottavi, in occasione di un gol nella fase a gironi. E quel gesto significa che l’Arsenal, in finale nel 2006, vuole quella coppa, e poco importa se contro si trova Slavia Praga o Milan, bisogna spazzarli via tutti e due, senza fare particolari distinzioni di forza. Certo è, però, che Gallas & co. Dovranno fare i conti con il Pallone d’oro e Fifa World Player 2007 Kaká.
L’Inter, dal canto suo, non può certo ritenersi fortunata. Il Liverpool è giunto in finale due volte negli ultimi tre anni, in mezzo l’eliminazione subita nel marzo 2006 dal Benfica, quando Simao e Miccoli sbancarono Anfield e si qualificarono per i quarti. Se l’Inter dovesse trovarsi di fronte quel Liverpool e non quella cinica macchina da gol ammirata nelle ultime tre giornate della fase a gironi, il passaggio ai quarti è quasi certo.
La Roma è però l’italiana con meno speranze di passare: il Real di Robinho, dalla Coppa America ad oggi probabilmente il miglior giocatore al mondo assieme a Fabregas e Ibrahimovic, vuole mettere in bacheca la decima Coppa dei Campioni/Champions League della propria storia, e per farlo deve passare sul cadavere della Roma. Roma che però a Madrid ha già vinto, era la fase a gironi, era il 2003, ma i 3 punti al Bernabeu arrivarono per mano, o per meglio dire “per piede”, di Francesco Totti, unico reduce, assieme a Panucci, di quella magica notte di ottobre.
Real escluso, alle altre iberiche è andata di lusso. Il Barça si è visto recapitare un cioccolatino biancoverde di nome Celtic, che, salvo miracoli in terra di Scozia, è destinato a tornare nei confini scozzesi fino al termine della stagione.
Neppure al Siviglia, deludente in campionato ma ottimo in Europa, è andata male. Il Fenerbahce non è poi un avversario tanto temibile, soprattutto fuori casa. Sul Bosforo invece la squadra di Zico ha inflitto tre KO, nell’ordine, ad Inter, PSV e CSKA Mosca.
Il Porto completa il trio di iberiche felici, visto che dall’urna è uscito lo Schalke, avversario alla portata dei lusitani, dimostratisi squadra solida nel girone eliminatorio e che non dovrebbe avere problemi contro il peggior attacco, a pari merito (?) con quello del Celtic tra le squadra qualificate agli ottavi. Appena 5 reti per gli uomini di Mirko Slomka, appena due nelle prime 5 giornate del girone eliminatorio.
Completano gli ottavi di finale Olympiacos-Chelsea e Lione-Manchester United. Se ne primo caso gli uomini di Grant non dovrebbero aver problemi ad eliminare la sopresa della fase a gironi, tra Manchester United e Lione sarà sfida vera, perché se da un lato Aulas vuole come minimo i quarti dopo la deludente eliminazione agli ottavi contro la Roma lo scorso anno, gli inglesi si stanno ancora rodendo le mani per l’occasione sprecata l’anno scorso, quando si fecero rimontare dal Milan il 3-2 maturato ad Old Trafford. La parola ai piedi di Benzema e Cristiano Ronaldo qui, di tutti gli altri campioni che faranno la loro comparsa sul palcoscenico, calcisticamente parlando, più importante in Europa, per le altre partite.
Antonio Giusto
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L’Inter ora è squadra vera anche in Europa. Questa la certezza scaturita dal match contro un CSKA Mosca sempre più deludente.
Il CSKA, che ha ormai detto addio alle residue speranze di vincere il campionato russo (dove a 3 giornate dal termine è a -12 dalla coppia di testa formata da Spartak e Zenit) è obbligato a concentrarsi sull’Europa, dove ha già dimostrato di essere in grado di farsi valere, come dimostra la Coppa Uefa 2005. Gli uomini di Gazzaev si trovano però di fronte un’Inter che è ormai squadra vera, come dimostra il successo ottenuto a Reggio. Ai nerazzurri non la si fa più e, anche quando giocano male, riescono ad avere la meglio, grazie ad un pantano utilizzato come campo o ad un portiere “bidone” - espressione che cerco di non usare mai nei confronti dei professionisti, ma Mandrykin, specialmente dopo le due papere europee, se la merita tutta – poco importa.
Il CSKA parte forte, e un’Inter che perde per l’ennesima volta Vieira dopo appena un quarto d’ora è costretta a stare a guardare. I nerazzurri provano a reagire, però il CSKA è sempre in agguato grazie ad un attacco temibile anche senza Vagner Love, in cui Jô parte largo per poi accentrarsi e Daniel Carvalho, al rientro dopo un lungo infortunio, spazia sul fronte offensivo sempre pronto a piazzare la giocata vincente, ieri però mai arrivata. A far paura a Julio Cesar ci pensa anche un ottimo Krasic, che parte dalla fascia e si accentra, rendendosi pericoloso in più di un’occasione. Nell’Inter, senza mezza squadra a causa delle squalifiche, torna Cordoba, che pare in ripresa dopo alcune prove che definire deludenti è un eufemismo, e si vede quando Jô riceve palla al limite dell’area e, dopo aver vinto due rimpalli con “Café Colombia” fa partire un pallonetto che batte Julio Cesar, apparso fuori posizione. L’Inter prova a reagire, ma le uniche cose da annotare sul taccuino sono gli errori degli avanti del CSKA e gli infortuni dei moscoviti Dudu, sostituito da Eduardo, e Aleksei Berezutskiy, “azzoppato” da Figo, che macchia così il suo centesimo gettone in Champions League.
Nella ripresa l’Inter capisce che un’altra sconfitta in Europa è inaccettabile, e parte forte. I nerazzurri vengono premiati al 52’, quando Crespo riceve palla dal biondo Krasić in un’azione simile a quella che ha generato il gol di Trezeguet nel derby, e insacca. 1-1 e palla al centro, per pochi secondi, però, perché l’Inter si tuffa nuovamente in avanti senza però trovare la rete per via degli errori di uno Stankovic, giustificato perché non al meglio, e di un Ibra tornato quello pre-PSV. A risolvere la contesa ci pensa Samuel, con il quale presumibilmente farà coppia Materazzi al rientro, perché metterlo in panca, ora come ora, è impossibile. The Wall segna il 2-1 all’80’, ma il merito (o la colpa, se non siete nerazzurri) è soprattutto del sostituto di Akinfeev, Mandrykin, che dopo la schifezza (per dirla alla Caressa) combinata contro il Fenerbahçe toglie altri punti ai suoi con la complicità di una zolla probabilmente simpatizzante della Lokomotiv.
L’Inter torna a Milano (anche se a breve volerà a Palermo) con i 3 punti e la certezza di non essere più pazza, il CSKA resta a Mosca a sperare di centrare almeno la qualificazione in Uefa per sperare di ripetere l’impresa del 2005.
TABELLINO
CSKA Mosca (3-4-1-2): Mandrykin 4; V. Berezutskiy 6, Ignashevich 6, A. Berezutskiy 6,5 (dal 45' A. Grigorjev 6); Krasic 7, Aldonin 6, Rahimic 5,5, Zhirkov 6; Dudu Cearense 5,5 (dal 42' Eduardo Ratinho 5) (dal 76' Janczyk s.v.); D. Carvalho 5,5, Jô 6,5. All.: Gazzaev.
Inter (4-3-1-2): Julio Cesar 6; J. Zanetti 6, Cordoba 5,5, Samuel 7, Maxwell 6,5; Vieira s.v. (dal 17' Stankovic 5,5), Dacourt 6,5 (dal 77' Solari s.v.), Cambiasso 6,5; Figo 6,5; Ibrahimovic 5, Crespo 6,5 (dal 62' Cruz 6). All.: Mancini.
Reti: 32' Jo (CSKA), 52' Crespo (Int), 80' Samuel (Int).
Arbitro: M. Riley
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Novantunesimo minuto di Celtic – Milan. I campioni d’Europa hanno appena subito da McDonald (che di nome fa Scott, non Ronald) la rete del 2-1 che li condanna alla sconfitta. Un “imbecille”, come è stato definito dai media (che si pronuncia “media”, non “midia”, perché deriva dal latino) entra in campo e tira un buffetto a Dida. Il portiere brasiliano rincorre l’invasore per due metri, poi, d’improvviso, si accascia al suolo. Arrivano i soccorsi, e Dida esce dal campo il barella, salvo poi rientrare poco dopo in ottimo stato.
Ecco, il crollo di Dida è l’immagine del Milan attuale. Campione, anzi, Supercampione d’Europa, ma sconfitto da Palermo e Celtic, mica Real Madrid e Barcellona. Dal primo settembre, dopo le due vittorie in casa di un Genoa appena tornato in A dopo 12 anni (e proposto da Gasperini con una folle difesa a 3) e di un Siviglia che definire “scosso” per la morte di Puerta è poco, i rossoneri hanno vinto solo in un’occasione: contro il Benfica di un Rui Costa agli sgoccioli e di un Cardozo incapace di buttare il pallone in rete da mezzo metro. Vittoria giunta per mano di un Pirlo, in campo per caso dopo i fastidi accusati nei match di qualificazione agli europei contro Francia e Ucraina, autore di una magnifica punizione (Caressa la chiama “la maledetta”) e di un altrettanto magnifico assist per un Pippo Inzaghi pronto — in quell’occasione, non contro il Catania — ad insaccare il pallone in rete.
Da allora due pari, preceduti da altrettante “X” contro Fiorentina e Siena, e due sconfitte contro il Palermo e il Celtic.
L’araba fenice, tanto declamata da un Galliani (che si starà strappando i capelli che non ha, in questo momento) stenta a risorgere dalle proprie ceneri, e si rifugia in spiegazioni che sanno di scuese, come quella di Ancelotti - «Io preferisco ripartire dalla buona prova di Glasgow senza drammatizzare: le cose non possono che migliorare. La partita è stata molto combattuta, vissuta sul piano fisico e non su quello tecnico. Sono soddisfatto perché abbiamo concesso poco, in pratica solo su calcio d’angolo. Il Celtic in casa si trasforma, diventa molto pericoloso» le parole del tecnico emiliano – e sceneggiate, come quelle di Dida.
Dida che, dopo aver dimostrato un notevole regresso, sta ormai tornando ai livelli della notte del 19 settembre 2000. Non ricordate? Piccolo aiutino: Lee Bowyer. Ancora nulla? Leeds – Milan 1-0, rossoneri fuori dalla Coppa Uefa. Dopo quella terrificante papera per Dida l’unica soluzione fu espatriare, passando i due anni successivi al Corinthians, in Brasile. Chissà che non sia la soluzione buona anche per questa occasione.
Antonio Giusto
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Nella 4 giornata di Bundesliga il Bayern interrompe la propria striscia vincente pareggiando 1-1 alla Nordbank Arena, per gli sponsor, Volksparkstadion per i tifosi, di Amburgo. Pareggiando contro l'Amburgo il Bayern guadagna solo 1 punto e si porta a quota 10, +3 sulle inseguitrici Bochum, Bielefeld, Eintracht, lo stesso Amburgo e il Werder Brema.
Gli uomini di Ottmar Hitzfeld, dopo aver sofferto più nel primo tempo di questa partita che nei precedenti 3 match, rischia addirittura di andare in svantaggio quando il croato Ivica Olić costringe Kahn alla terza parata stagionale. Anche il neoacquisto degli anseatici, Romeo Castelen, prova ad impensierire Kahn, ma la sua mira non è irresistibile.
Il gol del vantaggio dei bavaresi giunge al 75° minuto, quando Klose, al rientro dopo l'infortunio patito contro il Werder, insacca di coscia alle spalle di Frankie Rost su preciso cross di Lell.
Il Bayern continua ad attaccare sfiorando il raddoppio con Altintop e Eric Maxim Choupo-Moting, che è dell'Amburgo ha 19 anni e colpisce un clamoroso auto palo.
La rete dell'HSV arriva all'87°, quando Zidan insacca alle spalle di Kahn.
finale Hitzfeld toglie Klose e Ribéry e inserisce Sosa e Wagner, dimostrando di accontentarsi dell'1-1.
ALTRE PARTITE
Schalke - Leverkusen 1:1 (1:0)
Lo Schalke pareggia 1-1 con il Leverkusen e rimane a -4 dal Bayern. Per i Knappen, i minatori, ancora imbatutti, la rete del vantaggio porta la firma di Kevin Kuranyi, la risposta delle Aspirine è di Theo Gekas, capocannoniere della scorsa Bundesliga.
Duisburg - Bielefeld 3:0 (0:0)
Il Duisburg spazza via l'Arminia Bielefeld in appena sei minuti in cui Maicon e una doppietta di Ishiaku chiudono i conti. L'MSV Duisburg si porta a 6 punti, l'Arminia dice addio al sogno di condividere per una settimana la testa della classifica con il Bayern.
Rostock - Dortmund 0:1 (0:0)
Il BVB vince 1-0 all'Ostseestadion di Rostock e si porta a quota 6 punti in classifica. Decide una rete dell'italo-tedesco Giovanni Federico ad un quarto d'ora dalla fine. Dopo 0 punti in 4 gare la panchina di Frank Pagelsdorf inizia a scottare.
Hertha - Wolfsburg 2:1 (1:0)
L'Herta Berlino strappa in extremis i 3 punti con un gol del nigeriano classe 1987 Solomon Okoronkwo, in rete all' 88mo minuto. Per il momentaneo 1-1 gli autori dei gol erano stati Pantelic per l'Herta e Dejagahper i Lupi.
Bremen - Frankfurt 2:1 (1:0)
Il Werder inanella il secondo successo consecutivo grazie alla vittoria nel match che nella scorsa stagione gli aveva negato la possibilità di giocarsi il titolo all'ultima giornata. L'1-0 del Werder è di Sanogo, alla seconda rete stagionale. Il 2-0 porta la firma di Petri Pasanen, mentre la rete del definitivo 2-1 è di Thurk.
Cottbus - Nürnberg 1:1 (1:0)
L'Energie Cottbus blocca sull'1-1 il Norimberga, ancora al terzultimo posto. Il vantaggio dei Lausitzer porta la firma del danese Dennis Sörensen. Il pareggio degli ospiti giunge all'85' con Wolf.
Hannover - Bochum 3:2 (2:1)
Il Bochum dice addio ai sogni di occupare la vetta alla pari con il Bayern con la sconfitta al Niedersachsenstadion, ora AWD-Arena. Il doppio vantaggio iniziale dell'Hannover porta la firma di Hanke e Rosenthal. Pareggio del Bochum con Bechmann, alla quarta rete stagionale, e Maltritz su rigore. A regalare i 3 punti ai Roten ci pensa l'iraniano Vahid Hashemian, al Bochum dal 2001 al 2004.
Karlsruhe - Stuttgart 1:0 (0:0)
Il Karlsruhe batte lo Stoccarda 1-0 con la terza rete in campionato del piccolo (solo 168 centimetri per lui) ungherese Tamas Hajnal. Il KSC si porta a quota 6 in classifica, gli uomini di Veh rimangono penultimi a quota 4.
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Un anno fa, quindi, i migliori giocatori italiani militavano tutti in patria, salvo poi espatriare per vari motivi. Fabio Cannavaro e Gianluca Zambrotta lasciarono l'Italia alla volta, rispettivamente, di Madrid e Barcellona, ovviamente sulla sponda più nobile della città. Spagna che, comunque, era già abbastanza ricca di italiani, soprattuto grazie al Valencia di Ranieri, che portò sulle rive del Mediterraneo Lucarelli - 12 presenze ed 1 gol per lui nella stagione 98/99 - che fece presto ritorno in patria, dove trovò Amedeo Carboni, 312 partite in 9 anni con la maglia dei Ches. Con il ritorno di Ranieri a Valencia, nel 2004, arrivarono altri italiani: Fiore, Moretti, Di Vaio e Corradi, di loro il solo Moretti è tuttora al Valencia, dove è titolare della fascia sinistra della difesa. Gli altri tre sono andati via poco dopo: Fiore, dopo vari prestiti in Italia, è tornato definitivamente nella penisola per indossare la maglia del Mantova; Di Vaio, dopo una breve e negativa esperienza al Monaco (dove trascorse 6 mesi anche Bobo Vieri) si è accasato al Genoa, con cui ha ottenuto una promozione in A che nella città della lanterna mancava da dodici anni; Corradi, dopo aver trascorso una stagione in prestito a Parma, si è trasferito in Inghilterra, al Manchester City. Gli italiani abbondano anche sulla sponda rossoblu di Valencia, quella del Levante, dove, quest'estate, ne sono approdati ben tre, che andranno a far compagnia a Damiano Tommasi, che un anno fa decise di emigrare all'estero pur di non dover giocare contro la sua amata Roma restando in Italia. A fargli compagnia sono arrivati Storari e Riganò, due ex messinesi, e Bruno Cirillo, arrivato dall'AEK di Atene, dove era compagno di squadra di Sorrentino, che, stufo dell'esperienza greca (che gli aveva permesso anche di giocare in Champions League), ha deciso di emigrare in Spagna, al Recreativo di Huelva. Anche Abbiati, stufo dell'Italia, ha scelto la Spagna e si è accasato all'Atletico di Madrid. Altro portiere emigrato in Spagna è stato De Sanctis, che dopo aver rotto con l'Udinese utilizzando una nuova normativa Fifa si è accasato al Siviglia, dove milita dal 2005 Enzo Maresca, che aveva già giocato all'estero, al WBA, dal '98 al 2000. Il giocatore più importante andato in Spagna è, però,
Giuseppe Rossi, assieme a Pazzini il più forte baby attaccante italiano, che ha accettato la corte del Villareal di Fernando Roig, impresario nel campo della ceramica.
Gli italiani all'estero, però, non vanno solo nell'assolata Spagna: nel Regno Unito ne troviamo ben tre: Cudicini, emigrato oltremanica nel '99, quando passò dal Castel di Sangro al Chelsea; Donati, al Celtic da questa stagione cui è stato affidato l'arduo compito di sostituire il nordirlandese Neil Lennon nel centrocampo dei Bhoys; Rolando Bianchi, costato 13 milioni di euro al neopresidente del Manchester City Shinawatra ed in gol al suo esordio con la maglia dei Blues. Fino a ieri c'era anche Bernardo Corradi tra le fila dei Blues, che però è tornato in patria al Parma annunciato da un terrificante "Corradi go home" sul sito della Gazzetta.
Due italiani anche in Francia: Fabio Grosso, acquistato dai sei volte campioni del Lione dopo una travagliata stagione con l'Inter e Flavio Roma, al Monaco - con cui ha anche disputato una finale di Champions, persa, contro il Porto, nel 2004 - dal 2001.
Italiani che non mancano anche nel resto dell'Europa: da Luca Toni, accasatosi al Bayern Monaco e secondo italiano in Germania dopo Ruggiero Rizzitelli, a Cristiano Lucarelli, allo Shakhtar Donetsk, in Ucraina, per 9 milioni al Livorno e 12 in 3 anni per lui.
Gli ultimi due partenti sono stati Graziano Pellè, all'AZ Alkmaar, in Olanda, perché stufo del calcio italiano, e Pelizzoli, al Lokomotiv Mosca, in Russia, dal gennaio 2007.
Adesso i migliori giovani ci lasciano perché stufi del nostro calcio, come nel caso di Pellè. E pensare che ai tempi di Bettega e Chinaglia si lasciava l'Italia solo per andare a guadagnare profumati dollari in America, nella NASL.
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